Nelly Lahoud (Bin Laden Catastrophic Success, settembre 2021) li ha studiati per tracciare un profilo filologico del fenomeno.
La data d’inizio è il 1986. In un primo messaggio ai jihadisti, Osama annuncia che il colpo decisivo va portato all’interno degli Stati Uniti. La vittoria sull’Armata Rossa in Afghanistan galvanizza il movimento. Può ora volgersi al bersaglio successivo, noncurante che proprio gli Stati Uniti l’hanno sostenuto in chiave anti-sovietica.
Sul piano mediatico la vittoria è offuscata dalla contemporanea fatwa che l’Imam Khomeini lancia contro Salman Rushdie, il “sacrilego” autore dei Versi satanici. E’ un momento della diatriba intra-islamica, intensa quanto quella che oppone l’Islàm radicale all’Occidente. L’Iran sciita ruba la scena alla resistenza sunnita in Afghanistan.
L’obiettivo di fondo di Osama è cacciare gli americani ed i loro alleati occidentali dalle terre occupate all’Islàm e ripristinare l’unità della Umma, la comunità musulmana. Il primo passo è liberare i territori sottratti da Israele ai Palestinesi dalla fondazione dello Stato. Osama attribuisce agli Stati Uniti la decisione ONU del 1948. E d’altronde la Causa palestinese, almeno fino agli Accordi di Abramo del 2020, è il tema unificante della protesta nazionalista araba. Al-Qaeda s’intesta così una rivendicazione di altra natura e di altra origine.
L’epistola del 1996 (Ladenese Epistle) sistematizza il suo pensiero. Egli invita gli arabi a raccogliere l’appello che viene “dai vostri fratelli nella terra dei due luoghi santi [Mecca e Medina] e di Palestina per combattere contro il nemico, il vostro nemico: gli israeliani e gli americani”. La battaglia sarà il primo passo della guerra che porterà alla liberazione dagli oppressori.
Le prove generali della strategia si tengono in Kenya e Tanzania (1998) e Yemen (2000). Il successo degli attentati contro obiettivi americani rappresenta per lui “il punto critico di svolta nella storia della Umma”. Il terreno è pronto per la grandiosa operazione del 2001. Nessuno in Occidente si aspetta un’azione così audace nel cuore degli Stati Uniti, che pure erano passati praticamente indenni sul loro territorio da due guerre mondiali.
I documenti di Abbottabad includono alcune note manoscritte (2002). Bin Laden rivela che la decisione di attaccare l’America gli è venuta dopo il colpo alla USS Cole nel Golfo di Aden. Crede che “l’intero mondo musulmano è soggetto al regno dei regimi blasfemi e dell’egemonia americana”. Gli attentati dell’11 settembre sono volti “a rompere la paura di questo falso dio e distruggere il mito dell’invincibilità americana”.
Due settimane dopo l’11 settembre bin Laden rilascia una dichiarazione in forma di ultimatum agli Stati Uniti: “né l’America né alcuno che viva là godrà della sicurezza finché la sicurezza diventi una realtà per noi che viviamo in Palestina e prima che tutti gli eserciti infedeli lascino la terra di Mohammed”.
Gli attentati elettrizzano la galassia jihadista. Molti elementi dalle più disparate provenienze vogliono unirsi a Al-Qaeda e ne esaltano le imprese. Il modello è di successo.
Il successo è effimero. La “Guerra al Terrore”, proclamata da George W. Bush e proseguita dal Barack Obama, avrà ragione di bin Laden e di molti suoi seguaci. Altre sigle si affacciano sulla scena. Nel 2011 la morte di bin Laden chiude un capitolo e non il libro.
di Cosimo Risi
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