Come la vede professore, la vita può proseguire senza più limitazioni? Possiamo tornare alla normalità?
«Mah, non lo so. Credo sinceramente che dipenda moltissimo, e dico una banalità non così banale, dal numero di vaccinazioni che riusciremo ancora a fare. E poi naturalmente dalla possibilità che arrivino, o non arrivino spero, altre varianti».
Sulle varianti fu tra i primi a dire che bisognava stare attenti a vaccinare con il contagio ancora in corso, perché si rischiava, appunto, di rafforzare le varianti stesse.
«Si, sostanzialmente, proprio perché è frequente l’incontro tra il virus e le soluzioni vaccinali, si rischia di favorire la nascita di varianti che resistono al primo tipo di anticorpi».
E come siamo messi su questo fronte?
«È proprio ciò che è successo. La variante Delta infetta anche le persone vaccinate. Per fortuna abbiamo evitato, finora, i rischi peggiori, perché si tratta di una forma di coronavirus che non comporta complicazioni serie a livello clinico e quindi non incide sull’ospedalizzazione. E questo è al momento l’aspetto positivo».
Ma esiste ancora il rischio, secondo lei, di arrivare a una variante che abbia conseguenze cliniche gravi anche su persone già vaccinate o già colpite dal Covid?
«È molto difficile prevederlo, dipende da diversi fattori e in particolare dalla trasmissibilità. E anche su questo fronte, Delta a parte, bisogna capire quanto reggeranno gli attuali vaccini. La situazione è ancora molto fluida e dinamica, ci sono ancora troppe variabili in campo, però…»
Lei sembra essere arrivato, finalmente, a un cauto ottimismo. Aveva sempre messo tutti in allerta, ora però qualcosa è cambiato, almeno rispetto a un anno fa.
«Certo, ci sono i vaccini. Ma parliamoci chiaro, un anno fa, prima dell’autunno, solo un pazzo poteva essere ottimista. E infatti è stato un autunno-inverno molto duro, ancora tragico direi. Il punto è cosa fare adesso, naturalmente, e prima di cantare vittoria serve tempo e pazienza».
Ancora? I numeri sembrano indicare una situazione relativamente contenuta.
«Si, ma siamo comunque a 60 deceduti al giorno , cioè siamo a quasi 2.000 al mese per una malattia contagiosa. È un prezzo che si può pagare? Non lo so, a me sembra ancora troppo alto. Io dico che non possiamo pensare di fare come l’Inghilterra, e spero che davvero l’Italia non segua quella strada».
Lei ha vissuto e lavorato parecchio nel Regno Unito, cosa è successo Oltremanica?
«Dopo una massiccia campagna vaccinale, forse la più imponente in Europa e nel mondo occidentale per rapidità e capillarità, il governo ha deciso che non si poteva più pagare un prezzo economico alla pandemia. E così liberi tutti. È una scelta che a mio avviso rischia di non pagare e di creare quindi qualche rischio. Ci vuole sempre un po’ di moderazione e a maggior ragione in questo caso: solo con la calma e il rispetto di certe regole potremo uscirne».
Fin qui il suo parere di esperto. Ma le sue competenze, com’è noto, l’hanno portata a essere consulente della Procura di Bergamo, con un pool scelto da lei, per rispondere a domande che i magistrati ritengono fondamentali, dalla gestione dell’ospedale di Alzano alla mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana. Come procede?
«Non posso naturalmente dire nulla, esiste il segreto istruttorio e ho il massimo rispetto istituzionale. Stiamo lavorando e stavolta consegneremo, senza chiedere deroghe. Il termine è fissato per il 30 dicembre».
Corriere
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