Una parola alla moda: l’autonomia strategica europea (di Cosimo Risi)

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Il dibattito europeo vive di mode e, omaggio alla comunicazione social, di espressioni a effetto. Ora è il turno dell’autonomia strategica.

Di autonomia si comincia a parlare nel 2013: a bassa voce, richiama il tabù  della difesa comune. Se ne riparla nel 2016, con il documento sulla Strategia globale dell’Unione europea.  Diventa centrale con l’Amministrazione Trump. Gli Europei si avvedono che l’amico americano manifesta segni di distacco se non di vero e proprio disamore. America First, lo slogan di Trump, si traduce in Europe Second se non Third or Fourth, terza o quarta dietro a Cina e Russia.

L’arrivo dell’Amministrazione Biden fa tirare un sospiro di sollievo. Il nuovo Presidente è  un esperto in affari esteri, dovrebbe ripristinare il vecchio quadro. E invece corre una linea di continuità lungo tutte le Amministrazioni Duemila. Barack  Obama chiamò la nuova strategia “Pivot to Asia”. L’Indo-Pacifico, non  l’Atlantico né il Mediterraneo, è da allora il perno  americano. La Cina si affaccia su quel mare, nonché Giappone, Sud Corea, Taiwan, le liberal-democrazie “our way”, alla nostra maniera.

Non più le giravolte di Trump, ma un atteggiamento che si vorrebbe articolato:  cooperazione quando si può, confronto quando si deve. Le manovre alleate nel Mare Cinese meridionale ne sono la manifestazione. La Cina reagisce con centinaia di aerei militari in parata sul cielo sopra Taiwan.

La Presidente dell’Isola teme che Pechino programmi l’attacco per il 2025, invoca il presidio americano. Biden e Xi jinping programmano un appuntamento da remoto per riaffermare che l’unificazione della Cina avverrà, se e quando, senza strappi.

L’Europa si scopre fragile su due fronti. L’esterno per il distacco americano che, nell’agosto 2021, si certifica con il ritiro precipitoso dall’Afghanistan. L’interno per la pandemia che falcidia settori economici e posti di lavoro. Scopre che certe produzioni essenziali, quelle legate a salute e profilassi, sono state esternalizzate proprio verso la Cina, un partner dall’incerta affidabilità.

La Russia si esercita, via hacker non identificati, a manipolare i processi elettorali. La Cina raccoglie dati sensibili tramite il 5G e si inserisce nei nostri sistemi con la Via della Seta.

Prende corpo l’imperativo, che sarebbe ambizioso se sorretto dai comportamenti,  di fare dell’Europa una potenza globale. Capace di competere alla pari o quasi con gli attori globali: Stati Uniti, Cina, Russia. Di camminare a testa alta nel mondo, senza stare sempre dietro agli Americani. Con loro il legame resterebbe comunque asimmetrico e profondo.

Gli attori non-statali, quali il grande terrorismo, si esercitano anch’essi a tendere il tessuto europeo fino a sfilacciarlo. “Chi comanda?” non è  una domanda retorica. Si pone il tema del potere eterodiretto da forze oscure: una mano nera sull’ordine liberal-democratico internazionale. Non c’è da stare granché tranquilli.

La cooperazione internazionale è importante. Tutti sono chiamati a salvaguardare il pianeta dall’autodistruzione. Il cambiamento climatico è esperienza di vita, non vaticinio di profeti malauguranti.

L’autonomia strategica, nata in connessione a sicurezza e difesa, si estende alla dimensione cyber. Lo stallo di FACEBOOK nei giorni scorsi è un caso di crisi globale generata da un singolo operatore.

Giunge alla sicurezza energetica: la bolletta del gas s’impenna,  responsabile sarebbe la russa  Gazprom per aver innalzato il prezzo delle forniture. Tocca la dimensione industriale e degli investimenti. Quanti beni europei siamo ancora disposti a vendere?  Quanto perdiamo  in termini di investimenti e occupazione?

di Cosimo Risi

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