Lo sottolinea la Cassazione (sentenza civile 11414). I supremi giudici, infatti, hanno accolto il ricorso di un padre divorziato di 64 anni al quale la Corte di Appello di Salerno aveva ingiunto di versare 450 euro al mese per il mantenimento della figlia maggiorenne Saveria, convivente con la madre e specializzanda in medicina con un contratto di cinque anni e un compenso di 22.700 euro l’anno. In primo grado, invece, il Tribunale di Salerno avevano stabilito che l’uomo doveva versare solo 450 euro per il figlio Luigi che non era ancora autosufficiente mentre avevano detto no alla richiesta di mantenimento avanzata dalla madre per la figlia specializzanda. Ad avviso della Suprema Corte, il padre di Saveria ha perfettamente ragione a sostenere che “erroneamente la corte di merito ha equiparato gli emolumenti dello specializzando ad una borsa di studio, negandone la natura retributiva anche alla luce della durata quinquennale e dell’importo degli stessi”.
Inoltre, secondo la Cassazione, alla specializzazione – come ha fatto presente il padre ingiustamente ‘tartassato’ – non si può attribuire una “natura precaria” perché occorre considerare “le concrete prospettive di impiego assicurate dal numero chiuso delle specializzazioni”.
“L’obbligo del genitore (separato o divorziato) di concorrere al mantenimento del figlio maggiorenne non convivente – scrivono gli ‘ermellini’ della Prima sezione civile – cessa con il raggiungimento, da parte di quest’ultimo, di uno ‘status’ di autosufficienza economica consistente nella percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita, in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato, quale deve intendersi il compenso corrisposto al medico specializzando, in dipendenza di un contratto di formazione specialistica pluriennale, non riconducibile ad una semplice borsa di studio”. Ora la Corte di Salerno deve eliminare l’aggravio di spesa sobbarcato al padre della specializzanda.
Fonte ANSA
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