Tra molte singolari teorie, emerge ora una violazione concreta ai danni di Roma: due americani, presumibilmente addetti militari dell’ambasciata, entrarono dieci me si fa in un carcere italiano e provarono a interrogare uno dei due esperti informatici campani, detenuto con l’ipotesi di aver sferrato un cyber attacco ai sistemi del colosso pubblico della Difesa, la Leonardo, con sede a Pomigliano d’Arco, nel napoletano.
Repubblica è in grado di ricostruire quella anomala “trasferta” grazie a una testimonianza. Con quali autorizzazioni, attraverso quali coperture è stato possibile questo ingresso in un penitenziario?
Un fascicolo stato aperto dalla Procura di Napoli guidata da Gianni Melillo e poi gira to ad altri uffici per competenza.
La vicenda è sotto esame anche del procuratore di Roma, Michele Prestipino. A quanto pare, infatti, quest’ultimo frammento di spy story interseca un’inchiesta madre incardinata a Piazzale Clodio su reati tributari e di spionaggio industriale, ipotesi che rivelerebbero anche condiziona menti di carattere internazionale.
Era il 19 gennaio 2021, qualche settimana dopo l’assalto di Capitol Hill, quando nel carcere di Fuorni, a Salerno, si presentarono una deputata ex M5s, Sara Cunial, con un avvocato del bresciano «e due cittadini presumibilmente americani».
A confermarlo a Repubblica è l’avvocato Nicola Naponiello, difensore di Arturo D’Elia, il 39enne brillante tecnico che era stato arrestato, un mese prima, nel dicembre 2020, dai pm Onorati e Cozza, con l’aggiunto Piscitelli.
L’accusa: aver spiato le divisioni Aerostrutture e Velivoli, aver copiato con un virus trojan ben 10 giga di dati, qualcosa come 100mila file. «Questa vicenda è rimasta riservata, ma io l’ho segnata alla magistratura a suo tempo – spiega Naponiello – Il mio assistito rimase molto colpito dalla circostanza che in carcere, quel giorno di gennaio, durante la visita della deputata Cunial in carcere, si avvicinarono a lui due stranieri, che erano nel gruppo e lui percepì fossero americani, che gli rivolsero domande singolari».
È un pezzo di verità che coincide con il sospetto o contenuto nel libro “Betrayal”, del giornalista americano Jonathan Karl, e anticipato ieri su queste pagine.
Quanto era al corrente, di tutto questo, il governo Conte, all’epoca ancora formalmente in sella?
Nessun commento dall’ex premier, ma fonti a lui vicine liquidano seccamente la questione: Mai saputo nulla. Zero, Anche l’Ai si ignorava totalmente la vicenda.
Il motivo formale di quella visita a Fuorni, che non a caso non impensieriva il carcere, era comune a tante altre incursioni, che la legge prevede, da parte dei parlamentari: accertare le condizioni dei detenuti.
In realtà, era ad uno solo di loro che il gruppo sembrò puntare subito. L’argomento delle domande verte va dunque sulle presidenziali?
«lo non ero presente ovviamente, Fatto sta prosegue ancora l’avvocato di D’Elia-che il mio assistito chiese l’intervento della polizia penitenziaria. Ho scritto tutto e riferito al pm.
Non sappiamo altro, ma il mio assistito si preoccupò per la sua incolumità. Ne parlai anche con i vertici del carcere di Fuorni, mi fu detto che una cosa del genere non sarebbe mai più accaduta».
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