Giochi degli scacchi e del poker in campo aperto (di Cosimo Risi)

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Paolo Valentino (Corsera, 5 febbraio 2022) riporta un aforisma di Fedor Dostoevskij a proposito dei Russi. Secondo lo scrittore, i suoi concittadini si dividono fra  i giocatori di scacchi ed i giocatori d’azzardo. I primi programmano la strategia di lungo periodo, i secondi si giocano la sorte ad ogni mano di poker.

A distanza risponde l’americano Raymond Chandler. Ne Il lungo addio (1953) scrive: “Gli scacchi sono il più cospicuo spreco di intelligenza umana che si possa riscontrare al di fuori di un’agenzia di pubblicità”.

Vladimir Putin, secondo questa casistica, appartiene alla categoria dei pokeristi. Un azzardo sarebbe lo schierare le truppe al confine con l’Ucraina, non avendo chiaro il quadro degli ordini da impartire. Se di attacco, vanno valutate le conseguenze,  le sanzioni sarebbero inevitabili. Se di ripiego, va quanto meno sbandierato un successo diplomatico: quello, massimo, di avere ottenuto la rinuncia della NATO ad allargarsi a est;  quello, minimo, di avere guadagnato il rispetto dell’Occidente.

Nell’immediato, il Presidente russo tesse la tela delle relazioni. Vola a Pechino per i Giochi Olimpici e sigla con il Presidente Xi jinping una dichiarazione comune. Non si tratta di un accordo, ma  di quella che i diplomatici d’annata definirebbero “entente cordiale”. C’eravamo tanto amati e ci stiamo innamorando di nuovo, per dirla nel linguaggio cinematografico di Ettore Scola.

Xi chiede che la Russia rinunci ad attacchi militari durante i Giochi. In compenso concorda con l’ospite che gli Stati Uniti destabilizzano la scena internazionale con il vecchio unilateralismo: la pretesa di avere la ricetta della democrazia per contestare le diversità di altri regimi. Cina e Russia sono, per contro, gli alfieri di “un nuovo importante ruolo di stabilizzazione”: per inaugurare l’era del multilateralismo paritario.

Le prove sarebbero palesi. La NATO non rinuncia al principio di integrare l’Ucraina, l’attuale oggetto del contendere. L’AUKUS (l’alleanza fra Australia, Regno Unito e Stati Uniti in chiave anti-cinese) “aumenta il pericolo di una corsa agli armamenti nella regione [indo-pacifica] e pone seri rischi di proliferazione nucleare”.

Nel 2021 l’interscambio fra i due paesi ha toccato il massimo storico di 140 miliardi di dollari. Crescerà grazie al nuovo contratto di fornitura di gas dall’estremo oriente russo alla Cina, per 10 miliardi di metri cubi. Power of Siberia 2 è il nome del gasdotto che li collegherà attraverso la Mongolia. La capacità è di 50 miliardi di metri cubi, all’incirca la stessa di North Stream 2, il discusso gasdotto fra Russia e Germania.

Il messaggio è diretto al Governo di Berlino, la cui Ministra degli Esteri avanza i primi dubbi circa l’opportunità di attivare North Stream 2. Se la Germania e l’Unione  rinunciano al gas russo, questo sarà dirottato in Cina. La Russia non perderà la valuta pregiata della vendita, gli Europei pagheranno più cari gli approvvigionamenti da altre fonti.

E’ anche la risposta indiretta al colloquio, a Washington,  fra l’Emiro del Qatar e il Presidente americano. Joe Biden invita Tamin bin Hamad Al-Thani ad aumentare le vendite di gas liquido all’Europa, qualora le russe dovessero ridursi o cessare del tutto.

Si profila la saldatura fra Cina e Russia in chiave anti-occidentale. Negli anni Settanta del XX secolo la strategia di Nixon e Kissinger fu di rompere l’asse Mosca–Pechino per portare la Cina  Popolare dalla “nostra” parte. Ora ne avremmo il ribaltamento e prenderemmo atto che, attorno ai due paesi,  si sta formando un blocco delle “non-democrazie”.

Alcuni paesi occidentali non hanno inviato delegazioni politiche di rango alle Olimpiadi di Pechino. Dove invece sono presenti i Principi ereditari di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, i Presidenti di Egitto e Kazakistan. I rappresentanti di paesi produttori di idrocarburi hanno il comune interesse di marcare la loro libertà d’azione.

Emmanuel Macron e Olaf Scholz agiscono di conserva nell’incontrare, rispettivamente, Putin e Biden. Vogliono raffreddare la crisi con la Russia. Il francese è in cerca di rielezione, il tedesco di affermarsi come leader solido.

L’ISPI calcola l’indice di vulnerabilità della UE rispetto al gas russo. L’Italia ha una dipendenza del 19%, la Germania del 12%, la Francia appena del 3% potendo contare sull’energia nucleare. La posizione italiana dovrebbe essere conseguente: l’inflazione galoppa, la transizione energetica ha tempi lunghi, gli idrocarburi a prezzi calmierati ci aiutano a prepararla.

di Cosimo Risi

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