Nella sezione “Indicazioni relative alla gestione domiciliare del COVID-19 in età pediatrica ed evolutiva” il Ministero specifica che nella fascia 0-18, l’infezione è caratterizzata nella maggior parte dei casi dall’assenza di sintomi o da quadri clinici lievi, e/o di moderata entità (forma asintomatica o pauci-sintomatica). In linea generale, quindi, i bambini e i ragazzi più giovani che contraggono il virus posso essere curati a casa
I sintomi più frequenti nell’età evolutiva sono “febbre (che può essere elevata e per più giorni), tosse (talvolta insistente/continua), faringodinia, rinite con congestione nasale, cefalea (nei più grandi), vomito e diarrea”. Nel documento si legge anche che “sintomi presenti e importanti nell’età adulta quali il dolore toracico, la dispnea, l’astenia, sono meno frequenti” e che è stata riscontrata “raramente” anche l’ipossiemia, ovvero la diminuzione della pressione parziale di ossigeno nel sangue
I ragazzi in età adolescenziale possono invece accusare “sintomi simili a quelli dell’adulto: alterazioni del gusto e dell’olfatto, vomito, mal di testa e dolore toracico”
Se l’infezione si presenta con sintomi simil-influenzali e la febbre supera, per esempio, i 38,5 °C, “è possibile somministrare su indicazione del pediatra o medico curante terapia sintomatica con Paracetamolo (10 – 15 mg/kg/dose ogni 4-6 ore) o Ibuprofene (da 20 mg a 30 mg per kg di peso corporeo al giorno, sempre a stomaco pieno, divisi in tre dosi, ogni 6-8 ore)”
I farmaci non vanno somministrati in ogni caso o a scopo preventivo. Nella circolare si legge infatti che, se il bambino o il ragazzo è asintomatico, non ce n’è alcun bisogno. In linea generale, durante la malattia, “è comunque è opportuno che il paziente stia a riposo e che assuma liquidi”. Il Ministero consiglia anche di mantenere un contatto quotidiano col pediatra o il medico curante
Anche se, come spiega il Ministero, è raro che un bambino o un adolescente debbano “essere ricoverato in ospedale”, nella circolare si consiglia di prestare attenzione ad alcuni aspetti o fattori di rischio che potrebbero determinare la necessità di cure intensive o di ospedalizzazione, come la presenza di patologie croniche (es. diabete, l’epilessia e disordini del metabolismo). Bisogna inoltre mantenere alta la guardia se il bambino ha meno di un anno o ha ricevuto un trapianto
Nel documento si legge che possono rendere necessaria una valutazione ospedaliera anche la comparsa di segnali di aggravamento “quali scarsa reattività e/o scarsa vivacità, sonnolenza, astenia ingravescente, anoressia importante con difficoltà ad assumere anche liquidi, tachicardia a riposo in apiressia, cianosi, dispnea a riposo, febbre elevata, ipotensione, dolore toracico”
Il consiglio generale è quello di fare attenzione a tutte quelle situazioni in cui c’è un “malessere importante e/o un comportamento significativamente diverso dalla solita normalità”
Dall’inizio della pandemia, specifica il Ministero, c’è stato bisogno di cure intensive in circa mille casi e ci sono stati 44 decessi nella fascia 0-18 sugli oltre 144.000 segnalati in Italia. Più nel dettaglio, “fino all’introduzione dei vaccini i ricoveri in terapia intensiva sono stati a seguito di diagnosi di MIS-C [sindrome infiammatoria multisistemica]; in quasi tutti i casi di MIS-C si è avuta la completa risoluzione del quadro e guarigione, e solo in una minoranza dei casi si sono manifestati esiti”
Dall’inizio della campagna vaccinale dedicata ai soggetti in età pediatrica ed evolutiva, invece, “i casi gravi e/o bisognosi di cure intensive in soggetti affetti da Covid, si sono manifestati prevalentemente nei soggetti non vaccinati e/o non vaccinabili (< 12 anni, prevalentemente < 5 anni)”
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