Insegnano a pensare al di fuori delle Mura Aureliane, quelle che circondano la Roma storica e, per traslato, la Penisola. Perché – come dichiara Giampiero Massolo al Riformista – se noi non ci occupiamo del mondo, è il mondo che si occupa di noi.
Agosto 2021 fuga dall’Afghanistan, febbraio 2022 tensioni prebelliche al confine fra Russia e Ucraina. Ambedue le crisi vedono l’Europa in prima linea: la riluttante Europa quando si tratta di ricorrere allo strumento militare.
In Afghanistan per organizzare l’evacuazione dei contingenti e dei collaboratori, in fretta e furia per non restare indietro al contingente americano di riferimento. In Ucraina per la minaccia che la Russia porta all’integrità del paese, con l’abusato pretesto di proteggere le minoranze russofone dall’emarginazione se non dal genocidio.
Vi sono alcune lezioni da trarre subito, a prescindere da quanto accadrà sul terreno, e sempre nella speranza che nulla vi accada di grave.
La Russia non si sente la sconfitta della Guerra Fredda e perciò rivendica il rango che era riconosciuto all’Unione Sovietica. Quella della vittoria dell’Occidente era una leggenda propagandata, appunto, dall’Occidente a dimostrazione che il crollo del comunismo sovietico e dell’impero ad esso sotteso significava l’assimilazione della Russia al sistema vincente: ma in posizione subordinata.
Lo stesso Mikhail Gorbacev, che da Premio Nobel per la pace nono si può tacciare di militarismo, ha sempre contestato la vulgata della vittoria dell’Occidente e dunque della sconfitta dell’Oriente nel 1991. Fu l’URSS, da lui guidata, a tentare l’impossibile autoriforma e decidere di addivenire ad una nuova dottrina di relazioni internazionali: non più il confronto fra avversari ma la cooperazione in vista della casa comune europea.
Vladimir Putin accentua la smentita per ergersi a tutore dell’onore già sovietico ed esigere il rispetto. Il rispetto significa che il nuovo ordine internazionale non deve essere un affare duale fra Cina e Stati Uniti, ma una partita plurale cui Mosca partecipa alla pari. Altrimenti Mosca gioca la carta di Pechino ed espone Washington alla duplice minaccia in Europa per l’Ucraina e nell’Indo-Pacifico per Taiwan.
L’Europa si trova stretta fra i due giganti che negoziano, o vorrebbero negoziare, sopra la sua testa, quasi fosse mera destinataria delle loro decisioni e non parte in causa. Mentre è la parte più esposta. La guerra, se mai dovesse scoppiare, brucerebbe nel Continente, ai bordi dell’Unione europea e della NATO: nei luoghi che ritenevamo intoccabili dopo il 1945. Un salto nel nostro passato di tenebra.
Il pellegrinaggio degli esponenti europei a Mosca e Kiev per sondare gli umori delle due dirigenze mostra che i grandi stati membri, coordinandosi con gli Americani, intendono dire la loro. Il costo più pesante di qualsiasi aggravamento sarebbe principalmente europeo. Si pensi soltanto alla bolletta energetica ed all’afflusso di profughi.
Ora Mario Draghi è invitato a Mosca per l’ennesimo colloquio di un europeo con il Presidente russo. In virtù di quale mandato? Dell’auspicio che, con la personale autorevolezza e la tradizione dei rapporti italo-russi, aiuti a sciogliere l’enigma di fondo: se la Russia voglia essere un paese europeo a tutti gli effetti. Certo che il trattare con la pistola sul tavolo non si addice a chi persegua una nuova architettura di sicurezza.
Gli Stati Uniti sono richiamati nell’Europa che hanno pensato secondaria rispetto al “pivot to Asia”, il fulcro sull’Asia già teorizzato da Barack Obama. Neppure il Medio Oriente e il Golfo li occupano più in prima battuta, l’Iran è impegnata nel rinegoziare l’accordo sul nucleare, Israele si normalizza con alcuni paesi arabi con il ventaglio degli Accordi di Abramo.
E’ la Cina il rivale strategico da considerare, sulla Cina bisogna puntare la lente strategica. Così non è, i focolai sono più numerosi.
di Cosimo Risi
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