Per non parlare, poi, della loro sorte nel corso degli studi universitari, in cui gli Atenei più finanziati sono quelli che promuovono più studenti e non già quelli che meglio ne apprestano il percorso formativo, in relazione al quale, poi, procedere alla necessaria selezione dei più meritevoli.
Per non parlare dell’ entusiasmo interessato con il quale il personale (docente e non docente) delle università hanno accolto negli anni della pandemia la didattica a distanza, che ha distrutto ogni empatia con gli studenti, ha mortificato il “luogo” dell’incontro e della formazione (Giorgio Agamben, “A che punto siamo ? L’epidemia come politica”, ed. Quodlibet, 2020), trasformando gli atenei pubblici in altrettante “università” a distanza, dalle quali vengono giù laureati come fiocchi di neve negli inverni di montagna.
Il fenomeno della abrasione del percorso formativo universitario si è mostrato, in tutta la sua drammaticità, nei dati che sono emersi sul concorso per l’accesso in magistratura, come riportati nel sito del Ministero della Giustizia: su 2152 elaborati scritti corretti solo 127 sono stati ritenuti meritevoli, ovvero il 5,9% di quelli esaminati.
Un problema che, come evidenziato dal Ministro della Giustizia e dal Presidente della Corte di Cassazione, rileva sulla impossibilità di coprire tutti i posti messi a concorso e, in ultima analisi, sulla stessa funzionalità del sistema giustizia, già messo in crisi da deficienze strutturali, organizzative e soggettive.
Il tentativo di ovviare al disastro, non può essere ricercato nella sola proposta di rimodulazione del corso di laurea, prevedendo un percorso specifico indirizzato alla formazione degli studenti che intendono accedere al concorso in magistratura, in notariato o all’avvocatura.
Il problema mi pare essere molto più articolato e complesso, perché finisce per riguardare la stessa tenuta del sistema democratico, il nesso stretto tra istruzione e suffragio universale, in quella prospettiva che Antonio Polito, di recente, ha indicato in un interessante articolo su “Il Corriere della Sera”: “serve un luogo, un’agorà, in cui esistano le condizioni per cui io possa avere speranza di convincere qualcun altro con la forza delle mie argomentazioni, e viceversa”.
Si tratta, cioè, di superare una nozione di democrazia che si esaurisca nel solo momento elettorale, posto che in tal modo – come è accaduto negli ultimi anni non solo in Italia – essa finisce per diventare preda di fanatici e di demagoghi. Il bisogno di creare una “Scuola” in cui vengano formati cittadini informati, materia prima per la democrazia, resta fortemente contrastata da chi ha ritenuto di vedere nella preparazione la ragione di una rivolta “anti-establischment”, in cui “uno vale uno”.
Nella Scuola e nell’Università, come osserva Francesco Provinciali (nel suo bel libro “Scuola e dintorni”), occorre superare la facilitazione dei corsi dei studio e di programma, il declassamento della storia e della geografia, la riduzione dei testi scritti ormai sostituiti dall’enfasi di test inutili, il prevalere di linguaggi a-tecnici, corti e sincopati, l’affermazione di un processo presuntivamente argomentativo ma povero e privo dei necessari presupposti o articolati logici, la negazione della memoria come metodo di allenamento della mente.
Solo in questo processo di complessa revisione dell’esistente, che deve essere favorito da un legislatore accorto e consapevole, può trovarsi il superamento delle criticità innanzi esposte, in ragione delle quali di fronte ad un testo scritto irrimediabilmente emergono le deficienze formative maturate nel tempo.
In sostanza, la povertà argomentativa, la acritica adesione alla giurisprudenza propinata a costi elevati dalle varie sedi private di preparazione al concorso, la scarsa originalità del percorso argomentativo, gli errori marchiani di concetto, di diritto e finanche di grammatica – che sono stati denunciati in occasione dello scorsa prova per accedere in magistratura – non sono altro che il risultato del disastro in cui versa la Scuola italiana (e qui bisognerebbe ripensare anche al ruolo, ormai inutile, della scuola media) e del progressivo degrado della funzione dei licei.
La risposta di fronte al disastro, dunque, deve essere complessiva ed articolata, ma dubito seriamente che ciò possa essere preteso dall’attuale (inconsapevole) maggioranza della classe politica.
Giuseppe Fauceglia
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