Pacifista, impegnato a sinistra fra Labor Party e Meretz, fu sostenitore della formula due popoli – due stati. La predicava in qualsiasi circostanza, convinto che solo il pacifico vicinato fra i due stati etnicamente compatti potesse garantire la stabilità regionale e estrarre Israele dalla trappola dell’occupazione di territori arabi.
L’occupazione mina i rapporti con il popolo oppresso e svilisce la democrazia israeliana, la sola funzionante in una regione organizzata per autocrazie.
In un primo intervento per Haaretz, il giornale di riferimento per i progressisti, scrisse dell’opportunità di procedere in quella direzione, ma i vari Governi Netanyahu, di cui era fermo oppositore, preferirono derubricare il caso palestinese e migliorare i rapporti con le potenze sunnite con gli Accordi di Abramo.
In una recente intervista allo stesso giornale, Yehoshua formula la clamorosa autocritica. L’idea della Stato di Palestina, ancorché demilitarizzato, inquieta l’opinione pubblica israeliana e la spinge a destra. Lo spostamento, ormai costante alle ultime elezioni, deriva anche dalla mancata risposta della sinistra, quand’era al potere, al nodo di fondo del rapporto con l’altro popolo.
La legge della Knesset sulla natura ebraica dello Stato rende meno praticabile la formula. Gli arabi – israeliani si sentono cittadini di seconda fascia, i loro moti nelle città miste ne sono una prova. Haifa, una delle città in questione, era stata la su dimora.
Yehoshua, “per onestà intellettuale” come dichiara, considera altre formule, persino quella dello stato bi-nazionale. In origine la considerava letale per Israele. Alto sarebbe il rischio che la crescita demografica degli Arabi rispetto agli Ebrei lo snaturi e renda difficile la convivenza fra i due gruppi in seno alle stesse istituzioni.
Il suo è un ripensamento radicale che gli attira le critiche dei fautori dei due stati – due popoli e non gli procura le simpatie delle destre. Alcuni partiti continuano a inseguire il sogno delle annessioni territoriali.
Con Yehoshua ebbi una frequentazione personale, lo incontrai alcune volte in Italia improvvisandomi da interprete. La sua prosa e la sua visione affascinavano. Laico convinto, puntualizzava di essere ebreo di nazione e non di religione, ed infatti era poco attento ai dettami della kasherut.
Il ricordo più vivo risale al 2006, l’anno dei Mondiali in Germania. A Viareggio lo accompagno ad un convegno che coincide per orario alla partita Italia – Ucraina. Mi chiede di sottrarlo alla cena ufficiale con un espediente, è tifoso di calcio e, nell’occasione, della Nazionale.
Vinciamo la partita, pronostica che vinceremo il Mondiale. Per scaramanzia lo invito a seguire tutte le partite fino all’ultima nella stessa postazione di oggi. Lui seduto alla mia destra ed io a tradurgli in francese certi passaggi della telecronaca RAI.
A Viareggio la gente festeggia per strada fino a notte. In albergo mi chiede il perché di tanto chiasso essendo una partita intermedia. Gli rispondo che Viareggio è la città di Marcello Lippi. Scuote la testa, ride: “J’aime l’Italie!”.
di Cosimo Risi
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