La canzone giunge dal bar alle nostre spalle.
Spiaggia. Seduti su delle sdraio di colore giallo intenso, io e il mio amico Cesare, sorseggiamo una spremuta, mentre le ultime luci del tramonto vanno smorzandosi.
Nelle parole di Cesare leggo una sottile inquietudine. Rivela episodi sparsi, passando da un periodo a un altro della sua vita.
Conscio che l’unica cosa che si possa fare in certi momenti è quella di rimanere in silenzio, resto muto ad ascoltarlo e a immaginare i luoghi dei suoi racconti.
Forse trascinato dalle parole della canzone, dice: “Anticamente la malinconia era intesa come umor nero (freddo e secco, come la terra); era uno dei quattro umori generati dall’organismo umano, cui si attribuivano malefici e spesso fatali influssi sulle funzioni vitali.
Ma non è questa la malinconia alla quale sto pensando e che oggi mi pervade.”
E’ sentirsi vicini e anche lontani / E’ viaggiare stando fermi / E’ vivere altre vite / E’ sentirsi in volo dentro agli aeroplani / Sulle navi illuminate / Sui treni che vedi passare /Alla luce calda e rossa di un tramonto / Di un giorno ferito che non vuole morire mai
“La malinconia, che in qualche modo amo, è uno stato d’animo di vaga tristezza, alimentato dall’esitare in un’atmosfera rassegnata o addirittura compiaciuta, tra sentimenti di disillusione e rassegnazione, ma con la certezza che prima o poi si apriranno squarci su impalpabili spiragli di vita. Credo che la bellissima canzone di Luca Carboni, che stiamo ascoltando, descriva perfettamente queste oscillazioni contrastanti.”
… Puoi scambiarla per tristezza ma / E’ solo l’anima che sa / Che anche il dolore servirà / E si ferma un attimo a consolare il pianto / Del mondo ferito che non vuole morire mai…
Poi Cesare tace. Io mi allontano, per un attimo, faccio capolino nel mondo del lavoro. Rifletto su un articolo, letto di recente, che sottolinea come con la pandemia, in Italia, sia tornato a crescere, dopo tanti anni, il numero dei fumatori e si sia triplicato l’uso di sigarette al tabacco riscaldato, spesso considerate, a torto, meno dannose delle tradizionali. Si continua a fumare pur sapendo che il denaro speso si tradurrà in un incremento notevole di probabilità di contrarre un domani un accidente cardio-cerebro-vascolare o un cancro… che follia.
Cesare riprende a raccontare, e io ad ascoltarlo: “In questi giorni piatti e monotoni sto pensando spesso alle altre migliaia di vite che ognuno di noi avrebbe potuto attraversare. Provo a riportare alla mente le infinite persone che non ho conosciuto fino in fondo, che mi piacevano, che mi hanno dato qualcosa, ma delle quali non ricordo più i loro nomi, i loro volti; quante occasioni perdute, quante vite non vissute. Oggi che ho perso molti pezzi della mia vita, mi piacerebbe recuperare quel tempo dimenticato “
Cesare fece una breve pausa e riprese a parlare: “La melodia che esprime meglio la malinconia è sicuramente il fado, l’espressione musicale dell’anima di Lisbona. È nato, nelle taverne e negli ambienti del porto, dalla frustrazione e la spontaneità delle periferie più povere, che hanno trovato riscatto in brani malinconici e nostalgici. Di solito è composta unicamente dalla voce (fadista) che dialoga con la “guitarra portuguésa, a dodici corde” e la “viola do fado”, una chitarra di tipo spagnolo che produce le armonie e i bassi. Interpreta il tipico sentimento portoghese della saudade; racconta temi di emigrazione, di lontananza, di separazione, dolore, sofferenza.”
E’ stare in silenzio ad ascoltare / Sentire che può essere dolce / Un giorno anche morire / Nella luce calda e rossa di un tramonto / Di un giorno ferito che non vuole morire mai / Sembra quasi la felicità / Sembra quasi l’anima che va / Sogno che si mischia alla realtà
Cesare continua il monologo e, finalmente, va al cuore dei suoi pensieri. Con un timbro di voce più acceso aggiunge: “Nella pace di questa spiaggia, tra i colori del tramonto, trascinato dalla musica, la mia malinconia si mescola con la nostalgia e mi riporta i ricordi, ancora vividi, di una Lisbona in cui da giovanissimo capitai quasi per caso e dove rimasi per alcuni mesi. Mi restituisce quei giorni in cui andai alla ricerca dei luoghi di Pessoa e dei suoi pensieri sull’inquietudine e mi riconduce a quelle notti in cui Lei mi guidò per le strette vie del Chiado, del Bairro Alto e dell’Alfama; nei locali ad ascoltare il Fado, a bere Vinho verde e Ginja e ballare musica lenta. Mi trasporta a quei giorni e quelle notti in cui mi innamorai perdutamente di una donna e della sua città. “
Puoi scambiarla per tristezza ma / E’ solo l’anima che sa / Che anche il dolore passerà / E si ferma un attimo a consolare il pianto / Di un amore ferito che non vuole morire mai / Na na na na na na na… / Na na na na na na na… / Na na na na na na na…
di Enzo Capuano
Articolo di grande bellezza, che va dritto al cuore di chi guarda la vita con gli stessi occhi. Pochi, devo dire, nella gran massa dell’umanità, una minoranza che non fa rumore e spesso sembra che non esista, eppure silenziosamente c’è. Individui che incontri per caso nel corso della vita e con cui stabilisci una immediata affinità per la comunanza di vedute, per la sottile vena di malinconia che traspira dalle parole, ma anche dal loro linguaggio non verbale. Mentre il resto del mondo va avanti come un gran circo, con la sua cacofonia di voci, di suoni di fanfara, con i suoi immancabili numeri di saltimbanchi, nani e ballerine, queste persone, fedeli a valori del tutto estranei a questa ubriacatura collettiva, di cui fanno fatica a riconoscere la ragione, vivono uno stile di vita sobrio e introspettivo. Spesso accosto il contrasto con il comune senso dell’essere, ai ragionamenti immortali del Leopardi, di grandi scrittori del dubbio, fino a cantautori di canzoni.