Resta opportuno, innanzi tutto, sfatare la convinzione, per altro in Italia avvalorata dai tanti “cantori” della Grande Patria Russia (sic !), secondo cui l’aumento delle bollette è solo il risultato della guerra in Ucraina, con il dipendente “ragionamento” che sia sufficiente acconsentire alle mire espansionistiche ed imperialistiche di Putin per porre definitivo rimedio alla situazione. Si dimentica, invero, che già prima della guerra, lo Zar aveva dato ordine ai suoi uomini di intervenire sul mercato olandese del gas, così provocando una certa impennata dei prezzi.
Del resto, le guerre si preparano anche sui mercati, e la colpa dell’Europa risiede proprio nel non essersi avveduta in tempo di questa situazione e di quei segnali economici che preparano i conflitti, oggi sempre più “globali” ovvero non riferibili al solo scontro bellico. In sostanza, pur essendo il ricatto russo un’ aggravante, va riconosciuto che l’invasione dell’ Ucraina ha trasformato lo scontro militare in una vera e propria guerra di mercato.
La formazione del prezzo del gas resta un vero e proprio labirinto, che tenterò di sintetizzare in questa mia riflessione. Innanzi tutto, bisogna partire dal TIF (Title Transfer Facility), che indica il mercato all’ingrosso dell’Olanda, tra i più grandi dell’Europa, perché la localizzazione di questo Paese permette il trasferimento della risorsa naturale in Germania, nel Regno Unito, in Francia e in Italia (invece, la Spagna e il Portogallo usufruiscono dei rigassificatori, che trasformano il gas liquido proveniente dal Qatar e dall’America).
Le negoziazioni su questo mercato sono collegate ai grandi contratti di importazione, ed i prezzi sono strettamente dipendenti dai cosiddetti derivati del petrolio sostituiti dal gas naturale (anche se, in alcuni momenti, i prezzi divergono tra loro).
In questo contesto, gli importatori decidono di aumentare o ridurre i quantitativi di gas russo anche in base al prezzo che si forma sul mercato. In realtà, tutti questi contratti sono caratterizzati dalla presenza di una clausola nota come Take of Pay, che obbligano l’acquirente a corrispondere il pagamento di un prezzo riferito ad una quantità minima di gas già definita, e tanto anche laddove non si ritenesse di ritirarla, e solo al di sopra di questa soglia viene a realizzarsi una certa flessibilità nel prezzo.
Per altro, alcune forniture con Gazprom prevedono la clausola del Front Month ovvero del prezzo del gas nel mese successivo: in sostanza, il prezzo del gas viene determinato con un mese di anticipo sulla fornitura effettiva, e a questa dinamica sono poi collegati titoli negoziati sul mercato aventi ad oggetto una vera e propria “scommessa” sull’aumento e sulla diminuzione del prezzo.
La dinamica resta ancora più evidente, se si pone mente alla circostanza che con la guerra, il prezzo spot è aumentato vertiginosamente anche perché si è preferito ritirare il gas russo con contratti di lungo periodo, favorendo una vera e propria attrattiva esercitata sui mercati finanziari in ragione delle speculazione sui “titoli scommessa”.
Questo spiega il perché il semplice annuncio dell’ Unione Europea di fissare un “tetto” ha fatto diminuire improvvisamente il prezzo del gas sul mercato. Insomma, speculazione sui titoli e profitti di guerra hanno comportato, in una combinazione inedita, l’attuale drammatica situazione, rispetto alla quale l’ Europa non ha saputo reagire in modo adeguato.
Una prima soluzione, per quanto complessa anche per motivi giuridici, potrebbe risiedere proprio nella determinazione del “tetto” al prezzo del gas oppure nell’introduzione di un meccanismo che consenta di agire come fa la BCE sui mercati finanziari ovvero con la creazione di una grande Agenzia in grado di operare come un unico grande acquirente, capace di influenzare la domanda e l’offerta, permettendo in tal modo di “governare” il prezzo.
Si tratta di scelte che, però, devono superare ritrosie (come quelle ungheresi) e interessi nazionali (come la Germania o l’ Olanda, quest’ ultima direttamente coinvolta nei vantaggi creati dalla speculazione finanziaria); ma si tratta di un percorso oggi obbligato, in assenza del quale finirebbe per venir meno la stessa “ragione” fondante e solidaristica dell’Unione Europea.
Giuseppe Fauceglia
“L’Uomo ha complicato ogni singolo semplice dono degli Dèi” – DIOGENE di Sinope
I gruppi economici e finanziari aborrono ogni forma di trasparenza e di informazione per l’utente, utilizzato come una immensa mandria , alla stessa stregua dell’allevatore di animali da reddito.
La logica è sempre quella, privatizziamo il pubblico e poi permettiamo ai privati di far quello che vogliono, ma loro vogliono scolo arricchirsi il più possibbile dando il meno possibbile in cambio , la concorrenza è sempre finta, vi sono accordi fra loro, lo stato connivente, ogni occasione è buona per speculare ancora di più.
Mantenere il pubblico in certi settori può calmierare i prezzi.
Non penso che nel dopoguerra in Italia governassero i bolscevichi quando lo stato controllava i prezzi di affitti case rc auto elettricità benzina sale e latte e pane con apposite leggi a seconda dell’occasione.
Nessun cenno o riflessione sul fatto che L’ENI resta in mano allo Stato per il 23% dopo l’esproprio subito dagli italiani dovuto alle privatizzazioni.
Così che elementi strategici come i carburanti sono usciti dal controllo dello Stato. Basterebbe questo per perdere un’altra guerra o semplicemente per affossare una economia nazionale, come sta accadendo. E sarà dura anche tassare i cosiddetti extraprofitti, perché ormai abbiamo perso qualsiasi sovranità su tutto. E mi raccomando di tracciare il sottoscritto di “sovranismo”, che nella neolingua post-cafonal-globalista è diventata un’offesa.