Considerate le probabili difficoltà cui il nuovo governo andrà incontro nello stilare la finanziaria non avendo a disposizione neppure la Nadef (nota di aggiornamento al documento programmatico di economia e finanza), l’ipotesi più probabile è in realtà che la stessa Quota 102 venga prorogata. Ciò significa che sarà ancora possibile andare in pensione a 64 anni di età e 38 anni di contributi versati ma parallelamente a tale regime rimarranno valide anche altre norme per consentire il pensionamento senza l’applicazione della Fornero
Innanzitutto resta fino a dicembre 2024, grazie al decreto dell’Economia dell’ottobre 2021, la possibilità di pensionarsi con la cosiddetta ˈQuota 87ˈ, ossia a 67 anni di età anagrafica senza alcun adeguamento all’aspettativa di vita e con soli 20 anni di contribuzione al sistema pensionistico obbligatorio. La maggior parte degli assegni versati dall’Inps in virtù di questa formula dovrà però essere integrata al minimo a carico dei contribuenti. In effetti, senza questa deroga oggi sarebbe possibile pensionarsi a 67 anni e 3 o 4 mesi
Si potrà poi continuare ad andare in pensione con 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva (41 anni e 10 mesi per le donne) senza adeguamenti all’aspettativa di vita fino al 2026, indipendentemente dall’età anagrafica. Sono le cosiddette pensioni anticipate, che consentono la quiescenza con cinque mesi di sconto rispetto alla legge Fornero, che per l’anno prossimo prevederebbe 43 anni e 3-4 mesi per i maschi e un anno in meno per le donne, con aspettative di aumento nei prossimi anni
Saranno ancora previste anche le figure chiamate ˈprecociˈ ossia i lavoratori che possono far valere 12 mesi di contributi effettivi antecedenti al 19esimo anno di età e che si trovano nelle condizioni simili a quelle di Ape Social. Si tratta, in pratica, di tutti coloro che hanno la facoltà di accedere alla pensione fino al 31 dicembre 2026 con 41 anni di contribuzione indipendentemente dall’età anagrafica
Le modalità per pensionarsi ina anticipo proseguono. C’è ad esempio l’isopensione, che consente un anticipo di massimo 4 anni (7 anni fino al 2023), con costi e contributi a carico delle aziende sopra i 15 dipendenti. Ci sono poi anche i contratti di espansione, un giovane ogni tot prepensionati con oneri a carico delle imprese oltre il 50 addetti. Anche qui i requisiti sono cinque anni di anticipo rispetto ai 42 e 10 mesi (un anno in meno per le donne), quindi anzianità di 37 e 10 mesi (36 e 10 mesi) oppure con Quota 82 (62 anni di età e 20 di contributi)
Gli stessi risultati si potranno avere con meno vincoli dall’operatività dei fondi esubero o di solidarietà, oggi validi per banche e assicurazioni ma che potrebbero essere utilizzati anche altrove. È già attivo il fondo per l’industria farmaceutica istituito da Farmindustria e sindacati: l’anticipo è di cinque anni rispetto ai requisiti di pensionamento, quindi anche in questo caso 37 anni e 10 mesi per i maschi e 36 anni e 10 mesi per le donne. In alternativa, Quota 82 (62 anni di età e 20 di contributi) oppure quota 87 (62 anni e 35 di contributi)
Intanto si fa largo l’ipotesi di una proroga per il 2023 di opzione donna, che consente l’accesso alla pensione con 35 anni di contributi e 58 anni di età per le lavoratrici dipendenti o 59 anni per le autonome. Essendo previsto un differimento tra la data di maturazione del requisito e quella della pensione – di 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome – ci si può pensionare con Quota 94 per le prime e dipendenti e Quota 95,5 per le seconde
In via di proroga pare essere anche l’Ape Social, la misura destinata ai disoccupati, ai lavoratori con un grado di invalidità pari o superiore al 74% e a coloro che svolgono assistono da almeno sei mesi in qualità di caregivers un convivente con handicap o una persona non autosufficiente. Per queste categorie, i requisiti sono 63 anni di età e 30 di versamenti. Invece per i cosiddetti lavori gravosi è consentito il pensionamento con 63 anni di età e 36 anni di contributi
Al momento, le persone che hanno fatto domanda per Quota 102 sono appena tra 5mila e 6mila, anche perché il 90% circa dei potenziali pensionati è nel regime misto (contributivo dal 1996) e la pensione per il 70% circa è calcolata con il metodo contributivo, i cui coefficienti di trasformazione in funzione dell’età determinano una riduzione di circa il 3% per ogni anno di anticipo. Con tre anni, a 64 anni, il trattamento pensionistico si riduce di circa il 9-10% in modo permanente rispetto a quello che si prenderebbe a 67 anni
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