Per la prestigiosa sigla di categoria tale strumento non va bocciato perché ha sicuramente contribuito a incentivare la ripresa economica di un settore, come quello dell’edilizia, che nel nostro Paese ha un peso specifico importante. Tuttavia questa misura ha provocato un costo in capo alla fiscalità generale spaventoso e non proporzionale al numero di edifici che sono stati “efficientati”.
C’è da aggiungere che ha altresì contribuito a far schizzare all’insù i prezzi di moltissimi materiali, i quali per molto tempo sono pressoché risultati irreperibili dal mercato.
Secondo la stima effettuata dall’Ufficio studi della Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre, il Superbonus ha generato 372.303 asseverazioni, depositate entro il 31 gennaio 2023, e lo Stato, con il cosiddetto 110%, dovrà farsi carico di una spesa di 71,7 miliardi di euro. Su quasi 12,2 milioni di edifici residenziali, questa misura ha interessato solo il 3,1% degli immobili ad uso abitativo.
Su scala regionale, è il Veneto ad aver registrato il ricorso più numeroso al 110% in relazione agli edifici residenziali esistenti, con 46.447 asseverazioni, e un’incidenza del 4,4%; seguono la Toscana con il 4% e la Lombardia al 3,9%. Le regioni meno coinvolte, invece, sono Calabria, Valle d’Aosta e Liguria, tutte con un’incidenza del 2%, insieme alla Sicilia che chiude la graduatoria con l’1,7%.
L’importo medio delle detrazioni a fine lavori previsto è pari a 192.756 euro per edificio. I picchi massimi sono in Campania (247.337 euro), Basilicata (254.090 euro) e Valle d’Aosta (267.698 euro). Chiudono la graduatoria Friuli Venezia Giulia (152.056 euro), Toscana (151.206) e Veneto (150.906 euro).
di Tony Ardito
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