Il Cardinale adopera di proposito la parola “condominio”. La Città è così piccola e così innervata da popolazioni e credenze diverse da essere un grande condominio. I condòmini devono intendersi nella chiarezza ad evitare lo sfascio dell’immobile.
L’auspicio è smentito clamorosamente dai fatti sul terreno. Hamas adotta, in maniera beffarda, il nome di Tempesta di al-Aqsa per l’operazione che lancia contro Israele. Al-Aqsa è la Moschea che sovrasta la Spianata ed è il simbolo, assieme alla Cupola della Roccia, della natura musulmana di Gerusalemme, al-Quds, la Santa, per gli Arabi.
Gerusalemme è il vessillo di qualsiasi organizzazione musulmana che voglia rivendicarne la liberazione dall’usurpatore sionista. Lo fu di Saddam Hussein, lo fu di Khomeini e degli Ayatollah, lo è di Hamas. Quest’ultima inneggia alla nobiltà del sacrificio, alla sua carica escatologica.
Gli scopi dell’operazione sono numerosi. Mostrare l’inefficienza se non la correità dell’Autorità Palestinese. L’AP e al-Fatah sono condannati all’immobilismo, con una guida che proroga se stessa a tempo indeterminato. Non si tengono elezioni dal 2006 e le tornate promesse sono subito rinviate a data imprecisata.
Richiamare il mondo arabo alla consapevolezza di sé: specie quei paesi che hanno scelto o stanno per scegliere gli Accordi di Abramo e dare una patente di normalità ad uno stato che tale non dovrebbe essere. Il destinatario del messaggio è principalmente l’Arabia Saudita. A margine dell’Assemblea ONU, il Principe ereditario e Primo Ministro ha annunciato che il Regno lavora per la normalizzazione con Israele, a condizione che Israele rispetti la formula due popoli – due stati.
La minaccia è portata all’interno del nemico sionista: se ne mostra la vulnerabilità militare. La fama di Israele risiede nella capacità di deterrenza e reazione. L’unità di popolo, forze armate, servizi di sicurezza era l’assioma della sua possanza. Il Governo Netanyahu ha messo in crisi l’unità.
Una parte della società civile, i riservisti, gli ex direttori di Mossad e Shin Bet protestano, ciascuno alla sua maniera, contro il colpo di stato giudiziario in quanto preludio della svolta autoritaria. La perdita di consenso è grave e s’insinua nella spaccatura fra la componente ebraica e la componente arabo-israeliana dello Stato.
Il Governo Netanyahu ritrova la compattezza nazionale a cospetto del pericolo esiziale per lo Stato nel suo complesso. Lo spettro dello sterminio è parte della didattica civile. Il capo dell’opposizione Yair Lapid è pronto a collaborare, l’ex Primo Ministro Naftali Bennett raggiunge la riserva. Sono segnali importanti, ricompattano il fronte interno. Le critiche al metodo di governare a colpi di maggioranza di destra – destra verranno dopo. Il Primo Ministro esce rafforzato dalla crisi, ne subirà l’onda lunga appena si risolverà sul campo con la prevedibile vittoria dell’IDF.
La prova diplomaticamente più ardua è per Stati Uniti e Arabia Saudita. Il Presidente Biden dichiara che Israele ha il diritto di difendersi. Il messaggio è interpretato a Gerusalemme come licenza di operare nella maniera più drastica. Ma c’è l’affare ostaggi, il dilemma del diavolo. Procedere alla distruzione di Hamas e sacrificarli? Accettare una qualche trattativa per liberarli? La risposta al dilemma sarà dirimente per gli sviluppi futuri.
Una reazione sproporzionata da parte israeliana ne potrà compromettere la credibilità presso gli Arabi. I Sauditi recederanno dal negoziato? I paesi che stanno negli Accordi di Abramo li denunceranno?
Molte domande mentre i rombi di guerra risuonano nel condominio di Gerusalemme. Prepariamoci ad un autunno orribile in Terra Santa.
di Cosimo Risi
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