Fede in qualcosa che superi le contingenze verso un avvenire, al di qua e al di là, migliore.
Alcuni Grandi della Storia, con la “esse” maiuscola, incombono nell’American Colony a Gerusalemme. Non un albergo ma un libro, una narrazione appunto di eventi cruciali. Lawrence d’Arabia con il suo abbigliamento arabo, lui agente dei Servizi britannici, Sir Glubb Pascià e molti altri che hanno soggiornato nella parte Ovest della Città per farne l’osservatorio delle vicende mediorientali.
Le Carrè coglie nel segno nel descrivere un’operazione romanzata, e perciò verosimile, del Mossad. Mossad è l’Istituto per l’intelligence e i servizi speciali dello Stato d’Israele. La letteratura sulla sua infallibilità è copiosa. Dalla cattura di Adolf Eichmann a Buenos Aires alla “neutralizzazione” dei sicari delle Olimpiadi di Monaco, da cui il film Munich di Steven Spielberg. Fino alle numerose azioni che vengono attribuite all’Istituto e che l’Istituto non smentisce né conferma: a cornice dell’alone di mistero e di infallibilità che ne assicura la fama presso gli amici e il timore presso i nemici.
Per non parlare della serie Netflix Fauda. La quarta è in cantiere, non è trasmessa per ora, alcuni membri della troupe si sono arruolati come riservisti nelle IDF (Israeli Defense Forces), al pari di tutti gli uomini e le donne fino all’età matura. Lo stesso ex Primo Ministro Naftali Bennett, cinquantenne, ha raggiunto la sua unità.
Lo Stato è protetto dallo scudo delle forze armate, della sicurezza, dell’intelligence informatica. Israele esporta sistemi di spionaggio elettronico che provocano anche scandali in Occidente: si pensi all’uso che di un certo spyware è stato fatto in Portogallo.
L’apparato ha conosciuto un buco una settimana fa e lasciato sguarniti la barriera con Gaza ed i villaggi prospicienti. Le conseguenze sono negli occhi di chi riesce a guardare gli spettacoli dell’orrore.
Gli interrogativi sono stati accantonati, almeno in pubblico. Si levano le voci dei cittadini che si sentono amaramente sorpresi dal deficit di sicurezza in un paese che della sicurezza mena vanto. Il Premier Netanyahu ama l’epiteto di Mr. Security. I responsabili restano ai loro posti, a cominciare dai membri del Governo. I conti, se si faranno, saranno per dopo.
Il Gabinetto di guerra prospetta una soluzione radicale per Hamas a Gaza, ritiene di averne la facoltà. Il Segretario di Stato Blinken è accorso a rassicurare circa l’appoggio americano: finché gli Stati Uniti esisteranno, esisterà lo Stato d’Israele.
Fernando Gentilini (la Repubblica, 15 ottobre 2023) si chiede cosa passi nella testa di Benjamin Netanyahu, quali siano i suoi ispiratori e consiglieri. L’articolo riporta le critiche che il Premier di oggi rivolgeva alla sua lontana predecessora. Nei Settanta, Golda Meir si fece sorprendere dall’attacco arabo durante la festività dello Yom Kippur. Affrontò la crisi e ribaltò le sorti della guerra finché Henry Kissinger non convinse la parti a negoziare. Ma dopo dovette dimettersi.
Sarà questo l’esito della lunga parabola di Netanyahu? Se lo chiede Gentilini come di una fatalità in una regione che nella fatalità del conflitto ha purtroppo la ragione d’essere.
La diplomazia latita in questa e nell’altra tormentata area del mondo, l’Europa orientale. L’ONU è silente. L’Unione europea paga passivamente i conti altrui. Si muovono gli attori globali di sempre, Russia e Stati Uniti. La Cina è in posizione di attesa, pronta a cogliere il frutto appena gli altri si saranno estenuati.
La narrazione del conflitto prevale anche sul plauso per il Nobel per la pace conferito all’ennesima donna iraniana che si batte, nei tormenti del ruolo, per i diritti nella Repubblica Islamica. Una voce femminile in controtendenza, quella di Narges Mohammadi. Ascoltiamola.
di Cosimo Risi
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