Nell’eterno passaggio dal metodo intergovernativo al metodo comunitario, quello preconizzato da Jean Monnet di cui si è scritto su queste pagine, l’elezione diretta del Parlamento fu la grande novità di fine Settanta. Prima l’Assemblea di Strasburgo, la si chiamava così per affinità all’Assemblea della Repubblica di Francia, era formata da membri nominati dai rispettivi parlamenti nazionali.
I parlamentari europei sono eletti su base nazionale, una volta a Strasburgo si raggruppano in famiglie politiche transnazionali. Da qui il dibattito non più fra stati membri ma fra gruppi politici. La somiglianza con i dibattiti nazionali è smagliante.
I sondaggi si moltiplicano con l’approssimarsi del voto. Per l’incompatibilità fra mandato nazionale e mandato europeo, ai leader politici si pone l’interrogativo se candidarsi a Strasburgo per trascinare la lista e dopo dimettersi a favore del primo dei non eletti. Un’operazione tattica che alcuni qualificano di raggiro: gli elettori voterebbero un candidato che trasferirà il mandato ad altro. Ma tant’è, gli artifizi della politica mediatica sono numerosi, il richiamo del leader serve a misurare le forze dei partiti.
I sondaggi danno in vantaggio il tradizionale schieramento di Popolari, Socialisti e Democratici, Liberali. I primi due gruppi sono i tessitori della politica europea, fanno pendant all’asse franco-tedesco in seno al Consiglio. Dalle loro fila provengono i vertici delle istituzioni, con il programmato ricambio alla testa dell’Assemblea. Da ultimo la popolare maltese Roberta Metsola ha sostituito il socialista italiano David Sassoli.
La coalizione di centro-sinistra, tanto per parafrasare lo scenario italiano, è sotto tiro da parte della destra. I due blocchi si fronteggiano attorno al dilemma fra europeismo e sovranismo. Le correnti sovraniste sono date in crescita negli stati membri. E’ significativa, alla nostra Camera, la mancata ratifica delle modifiche allo statuto MES. Puntano a modificare l’assetto di sempre, anche con alleanze improprie con partiti sospetti di simpatie neo-naziste.
Gli equilibri parlamentari contribuiscono a definire gli equilibri in seno alla Commissione ed al Consiglio europeo. Il Consiglio europeo sceglie il Presidente della Commissione tenendo conto del voto popolare. Il Presidente nominato deve passare il vaglio del Parlamento europeo. Lo spostamento verso il sovranismo, sempre che venga confermato dalle urne, può influire sulla scelta della carica più pregnante: la Presidenza della Commissione.
I partiti intendono dare spessore al futuro presidente con un’investitura popolare, indicano nelle loro liste lo Spitzenkandidaten, il candidato di bandiera per la Commissione. Salvo accordarsi su un nome unico sulla scorta del voto effettivo. Si lavora per la conferma di Ursula von der Leyen? Che ne è del ballon d’essai della candidatura Draghi?
Il Presidente del Consiglio europeo è scelto dai Capi di Stato o di Governo al di fuori del consesso, risponde perciò a tutt’altra logica.
Gli europeisti invocano una stagione costituente: per riformare i Trattati istitutivi in alcuni punti salienti. La stagione dovrebbe iniziare con la nuova Assemblea. Il Trattato di Lisbona risale al 2009, mostra le crepe nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione a oltre trenta membri.
L’adesione dell’Ucraina si consumerà in tempi lunghi, occorre sin d’ora valutarne l’impatto. Cosa ne sarà della politica comune della difesa e del patto di solidarietà fra gli stati membri se il nuovo entrato è in guerra con la Russia? Tutti entriamo in guerra con la Russia? La prospettiva inquieta qualsiasi benintenzionato, non soltanto il solito Viktor Orbàn L’ungherese esprime sin d’ora riserve sulla proposta di accogliere l’Ucraina, è forte della regola dell’unanimità per i negoziati di adesione.
Ne vedremo delle belle e, verosimilmente, delle brutte durante la campagna elettorale. Si vota con il metodo proporzionale e ciascuna lista mira a differenziarsi per guadagnare il voto. Le alleanze verranno dopo. Con il caldo di giugno.
di Cosimo Risi
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