Oggi è evidente che se Putin dovesse essere vincitore in Ucraina, il prossimo obiettivo sarebbero gli Stati baltici, che ormai fanno parte integrante dell’Unione Europea, sì che, a fronte di un’America sempre di più attratta dall’isolazionismo propugnato specialmente da Trump, l’unica reazione, anche militare, possibile resterebbe necessariamente affidata all’Europa.
Si impone, pertanto, la necessità di costruire in tempi rapidi un sistema di difesa europeo, che funzioni da deterrente di fronte al crescente imperialismo russo, nonché per contrastare le minacce degli Houthi, che mettono in serio pericolo il nostro stesso sistema economico-commerciale e i collegamenti delle reti sottomarine determinanti per i collegamenti internazionali.
Un segno evidente di questo incombente pericolo, attizzato dall’Iran e dalla stessa Russia, è l’aumento di alcuni prezzi finali di merci che provengono dall’Asia, dovuto esclusivamente agli attacchi armati alle navi merci che circolano nel canale di Suez, e che ora sono costrette a circumnavigare l’Africa, con ovvi aumenti dei costi. Senza considerare, poi, la guerra fredda, che la Cina sta progressivamente perseguendo, nel settore economico e nella conquista dei Paesi africani da cui provengono le cc.dd. “terre rare” ovvero i materiali necessari per i moderni apparati elettronici.
Come scrive Angelo Panebianco su il “Corriere della Sera”, le recenti dichiarazioni di Macron sul possibile intervento in Ucraina, non sono solo una “provocazione”, ma la manifestazione di un bagno di realismo, al quale la stessa Unione Europea deve dare una risposta concreta.
Le reazioni degli altri Paesi europei, e in particolare della Germania, sono il frutto di opinioni pubbliche non informate e non consapevoli del pericolo che incombe sulle democrazie occidentali e sullo stesso benessere conquistato in lunghi decenni di pace. In questo quadro di incertezza, in assenza delle dovute reazioni, si iscrive anche il mancato trasferimento all’Ucraina delle risorse finanziarie russe congelate in Europa.
A fronte di questa situazione non si rinvengono, a parte vuote parole, fatti concreti, in particolare per quanto riguarda lo spostamento di risorse finanziarie in favore della difesa, che richiederebbe nei singoli Paesi una scelta coerente di maggioranza ed opposizione, trattandosi di un tema che riguarda tutti e non può essere affidato solo alle ondivaghe opinioni pubbliche, spesso influenzate da chi conserva ancora collegamenti di interesse con Stati ostili.
L’indebolimento del ruolo internazionale degli Stati Uniti, in assenza di uno spazio riempito dall’Unione Europa, rimette tutto in discussione, finanche la sopravvivenza della nostra democrazia. Senza considerare, anche a fronte della crisi economica, che un sistema unico di difesa europea finirebbe per ridurre le risorse che ogni Stato impiega al momento nell’industria della difesa militare.
Non a caso, l’espressione – realistica ma terribile – di “economia di guerra”, utilizzata da Macron, ma anche da esponenti della sinistra come Raphael Glucksmann, rende bene la situazione. In Francia il budget statale destinato alla difesa è raddoppiato negli ultimi anni, arrivando a 413 miliardi di euro, stanziati dalla legge di programmazione militare 2023, raggiungendo il 2% del prodotto interno lordo.
Nella Baviera sta crescendo il numero di start-up, come punta avanzata dell’industria aerospaziale: insomma non può negarsi che gli interventi nel settore possono rappresentare un volano anche per le economie dei singoli Paesi. Non a caso, pure il premier estone, Kaja Kallas, ha proposto un fondo comune europeo di 100 miliardi di eurobond per aiutare le imprese europee a fare un salto qualitativo nei sistemi di difesa.
Deputati francesi, di destra e di sinistra, hanno poi aderito alla proposta del commissario UE, Thierry Breton, di creare un libretto al risparmio, destinato non solo a finanziare gli alloggi popolari ma pure la produzione di armi.
A fronte di queste urgenze, l’Italia rappresenta un vero e proprio laboratorio: nel nostro Paese sono particolarmente agguerrite le minoranze politiche antioccidentali, che considerano le nostre democrazie come manifestazione esclusiva di dittature asservite al capitalismo finanziario, e che sono un vero megafono per la politica aggressiva di Putin.
Senza considerare le ondivaghe posizioni di quelle forze politiche (in particolare i 5Stelle), che dapprima hanno votato l’aumento al 2% del PIL per le spese militari, e dappoi, per mera convenienza, hanno disconosciuto il loro stesso operato.
Proprio per questo oggi appare necessario impegnarsi in occasione delle elezioni del Parlamento europeo, in attesa pure dell’esito delle elezioni presidenziali americane, ed è necessario far comprendere alle opinioni pubbliche che la guerra in Ucraina ha cambiato lo scenario internazionale, ora occorrendo trovare la strada per ricostruire condizioni di sicurezza dell’intero continente europeo a fronte di incombenti minacce armate. Solo la sicurezza fisica dei cittadini europei può assicurare il mantenimento delle condizioni di libertà e di democrazia.
Da qui, la capacità delle classi dirigenti di svegliare le opinioni pubbliche dal tepore in cui sembrano essersi addormentate. Nessuno vuole o auspica una guerra, ma essere proni alla conquista dell’imperialismo russo e della sua tirannia o all’aggressione terroristica degli Houthi, è altra cosa; essere impreparati di fronte ad evenienze, sicuramente non auspicabili, resta un “delitto” al quale non possiamo assistere con indifferenza.
Giuseppe Fauceglia
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