L’intervento portato a termine con successo nella Unità Complessa di Cardiologia dell’ospedale di eboli, diretta dal dottor Angelo Catalano, che si è confrontato con colleghi italiani e stranieri sulla “particolarità del caso”, è stato eseguito dai cardiologi interventisti Emanuele De Vita e Giuseppe Bottiglieri. Considerando le condizioni del paziente, una particolare cautela è stata osservata nel trattamento di anestesia da parte della equipe del dr. Fernando Chiumiento, che dirige l ‘Unità Operativa di Anestesiologia e Rianimazione dell’ Ospedale ebolitano.
Il giovane sottoposto ad intervento, ha 35 anni ed è di origine nigeriana. Affetto da LES (Lupus Eritematoso Sistemico), ora ha valori pressori “controllati” e – per la sua primaria patologia – continua a sottoporsi a dialisi seguito dalla dottoressa Annalisa Gonnella presso la U.O. Complessa di Nefrologia dell’ Ospedale di Eboli diretta dal dott. Giuseppe Gigliotti.
Il paziente iperteso trattato vive e lavora da decenni nel territorio ebolitano, dove le persone extracomunitarie ufficialmente censite sono oltre 4mila ed altrettanti sono quelli “stimati” ma non censiti. La procedura praticata sul paziente (con pochissime analoghe esperienze riportate nella letteratura scientifica internazionale) costituisce un precedente molto significativo per altri ed eventuali casi che potrebbero giungere all’ attenzione degli specialisti dell’ospedale di Eboli, e ciò proprio in considerazione della vasta composizione multietnica della popolazione residente nella Piana e Valle del Sele.
“Con il sequenziamento del genoma umano, all’inizio di questo millennio, abbiamo capito che il patrimonio genetico (20-25 mila geni) è “unico” e non muta a seconda del colore della pelle: esiste una sola “razza umana”. Restano, com’è evidente, condizioni e modalità di vita diverse che unite ad abitudini alimentari proprie di ogni popolazione determinano, ad esempio, un metabolismo del sale da cucina non uguale per tutti e questa “diversa assimilazione del sale” potrebbe spiegare la maggiore o minore frequenza di alcune forme di ipertensione in soggetti di origine africana: gli studi sono stati avviati ed ancora sono in corso sui cittadini afroamericani in alcuni prestigiosi Centri di Ricerca ed Università degli Stati Uniti – si legge nella nota dell’Asl di Salerno -.
Sta di fatto che per problematiche legate ad alcuni recettori del sistema renina/angiotensina in alcuni pazienti ipertesi di origine africana i farmaci per curare l’ipertensione severa hanno scarsa efficacia con notevole aumento della possibilità di infarti ed ictus…e ciò indipendentemente dall’età”.
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