Crollano i prezzi del fotovoltaico, è una cosa positiva? (di Ciro Troncone)

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Quando oggi parliamo di pannelli fotovoltaici, batterie, inverter, pale eoliche, ognuno di noi identifica questi oggetti come prodotti “made in China”, e non potrebbe essere diversamente dato che questa nazione nel giro di pochi anni è diventata leader mondiale ed indiscusso del settore.

I cinesi, investendo in queste tecnologie ben 80 miliardi di dollari annui, sono così riusciti ad espandere le economie di scala grazie ad un incremento massiccio della produzione che ha portato ad un abbattimento impensabile dei costi che sta rendendo sempre più accessibile ai più della tecnologia un tempo riservata solo a pochi.

 Tutta la catena di approvvigionamento, la cosiddetta “supply chain”, relativa ai materiali semiconduttori come il silicio, il boro ed il fosforo, per i pannelli e di materie prime quali il cobalto, il litio, il nichel, il rame, la grafite e il manganese, per le batterie, sono oramai saldamente nelle mani dei cinesi grazie ad accordi blindati con i paesi principali fornitori.

Contemporaneamente dall’altra parte del mondo, ovvero l’Europa, la spinta costante dal “Green deal” seguita dall’accelerazione del “REPowerEU” ha portato e sta portando, giorno dopo, allo spostamento sempre più massiccio dalle energie fossili verso quelle rinnovabili.

Non passa mese che i 27 governi europei non siano tenuti a recepire una qualche direttiva comunitaria sull’argomento che porta così nuove norme, nuove riforme e nuovi incentivi, per non parlare poi di tutto quello che è già stato inserito nei rispettivi piani nazionali di ripresa e resilienza.

Da un lato quindi ci stiamo svenando per ridurre la dipendenza dalle fonti fossili (gas naturale e petrolio) nei processi di produzione di energia elettrica, nei trasporti e negli edifici, ma dall’altro, gli strumenti necessari a questa transizione siamo costretti ad andare ad acquistarli in Cina.

È evidente che dal punto di vista strategico e geopolitico questa nuova dipendenza ci colloca dalla padella alla brace

Ma c’è ancora un altro problema, malgrado la spinta dell’Europa, a livello mondiale la fase di “innamoramento” verso le politiche green e quindi verso le rinnovabili, va ovunque affievolendosi.

Federico Rampini ad esempio nella sua recente newsletter Global ci dice che il settore degli investimenti Esg – «environmental, social, corporate-governance» – non è più di moda tra gli investitori così come lo era fino a poco tempo fa”

Gli investitori stanno iniziando a smobilitare, spostando una parte seppur non elevatissima del proprio denaro altrove.

E la Cina di fronte a questo calo, cosa fa, frena?

Assolutamente no, anzi, tira dritto come un treno, avendo un disperato bisogno di mantenere inalterate le proprie economie di scala fatte di numeri di produzione elevatissimi.

Assistiamo sempre di più allo schiacciando verso il basso del prezzo lungo la curva dell’offerta, la conseguenza è che i mercati di tutto il mondo vengono inondati da prodotti venduti evidentemente al di sotto del prezzo di costo!

Chi ha barriere doganali all’ingresso è al riparo, chi invece, come noi europei non ne abbiamo, ne subisce l’invasione.

Oggi non è difficile trovare on line pannelli cinesi (da vedere poi con quali certificazioni) ad un prezzo 4/5 volte inferiore a quello di 6 mesi fa perché quello che succede a Pechino o a Shanghai si riverbera direttamente sui nostri mercati.

Stiamo entrando così in un grande “loop”, i prezzi bassi se da un lato democratizzano i prodotti, come è successo per tanti articoli tecnologici negli scorsi anni, dall’altro però provocano dipendenza da queste economie annientando le già remote possibilità di far sviluppare una nostra industria.

Vado un attimo con la mente a quell’Europa del futuro tratteggiata da Mario Draghi pochi mesi fa in un convegno, parlando del futuro della nostra competitività, fissando dei principi che ambiscono a trasformare l’intera economia europea.

Penso a questo discorso perché l’ex primo ministro accendeva il faro proprio sul problema della catena di approvvigionamento di tecnologie verdi ed avanzate, al momento, lo ricordava, quasi del tutto appannaggio della Cina.

Draghi parlava di dipendenza tecnologica, di carenza di materie prime necessarie per queste particolari produzioni, e immaginava proposte per provare a cambiare lo stato delle cose, ma il punto, a mio avviso, è un altro.

È utopistico pensare che nuove attività industriali riescano a nascere e svilupparsi con dei competitors orientali già così strutturati e che per motivi congiunturali come visto prima, stanno addirittura iniziando a vendere sottocosto!

A cosa serve un incentivo sull’acquisto dei pannelli fotovoltaici, come quello previsto dalla “transizione 5.0”, (che nel migliore dei casi arriva al 65 % di credito di imposta) che al contempo ti obbliga a scegliere solo quelli prodotti in Europa?

Mi chiedono di acquistare un prodotto europeo che potrebbe costare 200/300 a fronte di uno cinese che costa 100 offrendomi però in cambio il credito di imposta  (del 65% nel migliore dei casi) su quello più caro, detto così, non mi sembra un grande affare.

Ovviamente, la riflessione di cui sopra è di basso livello, ma il mio è un discorso provocatorio che mi serve da premessa per arrivare al punto della questione.

E ancora, a cosa serve ad esempio un finanziamento quale quello previsto dai Contratti di Sviluppo della Missione 1, Componente 2, Investimento 7 del PNRR, finanziato dall’Unione europea, volto a incentivare gli investimenti per le aziende che decidono di avviare una produzione industriale di pannelli fotovoltaici?

Abbiamo già visto che nel mercato mondiale attuale non riuscirebbero a vendere neanche un pannello…Sarebbero delle aziende nate-morte

Ed eccolo a mio avviso il punto, anche se le scelte sono varie e sono ardue:

“Dobbiamo proteggere la nostra nascente ed ipotetica industria, riducendo così la dipendenza dai prodotti cinesi alzando barriere doganali, o dobbiamo lasciar fare al mercato?

Dobbiamo puntare sui prezzi bassi dei pannelli fotovoltaici per accelerare la transizione energetica democratizzando sempre più queste tecnologie o produrle da noi rendendole di fatto più care?

Saremo in grado di ridurre la dipendenza dalle fonti fossili russe e/o di altri paesi se tornassimo a tecnologie più costose rispetto a quelle che abbiamo oggi grazie al costante dumping cinese?

Detto ciò, non vorrei essere nei panni di chi a Bruxelles dovrà assumersi la responsabilità di prendere queste difficili decisioni dalle quali, ahinoi, dipenderà il futuro energetico e non solo della nostra amata Europa…”

di Ciro Troncone

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