E quando Mosè teneva le mani alzate, Israele vinceva, e quando le abbassava, vinceva Amalek. Ma le mani di Mosè si facevano pesanti… Aaronne e Cur gli tenevano le mani alzate… Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. E Giosuè sconfisse Amalek e la sua gente passandoli a fil di spada.
Allo scoppio della crisi di Gaza, un anno fa, Benjamin Netanyahu evocò la storia di Amalek e degli Amaleciti, la popolazione del Negev che attaccò proditoriamente il popolo di Israele mentre si ritirava dall’Egitto. Evocò la figura di Giosuè, il condottiero al seguito di Mosè, come di chi avrebbe salvato il popolo di Israele dalla minaccia che gli veniva dal popolo vicino per geografia e parentela. Gli Amaleciti discendevano da Esaù, erano semiti al pari degli Israeliti.
A chi abbandona la sala mentre parla all’Assemblea Generale della Nazioni Unite, Netanyahu risponde accusando l’ONU di essere “una palude antisemita”, ignara se non complice dei misfatti che colpiscono il popolo di Israele dall’ottobre 2023.
Gli appelli alla moderazione da parte della comunità internazionale, le indagini delle Corti internazionali di Giustizia, il richiamo al cessate il fuoco, l’ultimo a firma americana e francese, sortiscono l’effetto opposto. La sola moderazione è quella che si chiede al nemico: rilasciare gli ostaggi senza condizioni per poi deporre le armi e arrendersi. Il cessate il fuoco sarà possibile quando sarà spento il fuoco nemico.
La logica biblica, quella di Giosuè e di Amalek, guida il Premier, non la logica della diplomazia internazionale che conosce un calendario dei conflitti, del loro inizio e della loro fine. Questo è probabilmente il motivo profondo dell’apparente irragionevolezza del capo di Israele, il novello Giosuè in lotta contro il novello Amalek.
A volere spingere la metafora, Amalek risiede a Teheran, in luogo ora sconosciuto e iperprotetto, lontano da cercapersone, cellulari, aggeggi elettronici. Non dalle spie umane, il vecchio e sempre attuale sistema per dare la soffiata giusta a chi voglia colpire il bersaglio nel solo momento in cui si espone.
È stato il destino di Hassan Nasrallah a Beirut: sorpreso mentre si riuniva con i suoi nel bunker sotterraneo, posto sotto un edificio residenziale, gli effetti collaterali non preoccupano i costruttori, polverizzato da una inusitata potenza di fuoco.
La squadriglia aerea del raid era composta in parte di riservisti, gli stessi che mesi addietro avevano rifiutato il richiamo per protesta contro la riforma giudiziaria del Governo. Le forze di opposizione non chiedono più le elezioni anticipate. Il Capo dello Stato, il laburista Herzog, omette di criticare il Governo. Il Ministro della Difesa, dato in avvicendamento per scarsa sintonia con il Primo Ministro, incita alla battaglia.
Il Capo di Stato Maggiore, dato anch’egli in avvicendamento, registra un messaggio per rinnovare il patto di fiducia fra i cittadini e le IDF. Le IDF, con l’intero apparato di sicurezza, sono accusate di inazione per avere consentito all’invasione del Kibbutz da parte di Hamas.
Non è neppure casuale che il Mossad, pur senza riconoscere la responsabilità negli attentati, abbia dato prova di maestria nel caso dei cercapersone e nell’eliminazione sistematica dei principali nemici.
Il momento è unico per la storia di Israele e del Medio Oriente. Allo sdegno dei seguaci per la morte di Nasrallah fa da contraltare la macabra esultanza dei sunniti e dei cristiani del Libano. Le due comunità patiscono l’ingerenza di Hezbollah nelle vicende del paese, passato da modello di integrazione interetnica e interreligiosa in coacervo di gruppi in lotta fratricida.
Un esponente cristiano dichiara che il Libano non è chiamato a lottare per la Palestina. Il contrario del messaggio propalato da Hezbollah su mandato dell’Iran: distruggere Israele (entro il 2040?) per emancipare i Palestinesi e riconquistare Gerusalemme all’Islàm.
Ed è la prima volta che in maniera così chiara il sistema di difesa di Israele si integra sul campo con la macchina bellica degli Stati Uniti. La presenza in zona dell’apparato americano funziona da scudo per lo Stato di Israele e da deterrente per i nemici.
Il vaticinio sul futuro è incerto, avremo un’avvisaglia a novembre, il mese elettorale.
di Cosimo Risi
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