Sul “parlamentarismo nero” e su alcune vicende locali (di G. Fauceglia)

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L’espressione e il significato del “parlamentarismo nero” si legge in una pagina de “I quaderni del carcere” (Quaderno 14 (I) § 76) di Antonio Gramsci. Con l’espressione “parlamentarismo nero” si intende quello scontro tra interessi contrapposti che si manifestano in modo tacito o implicito, senza cioè emergere con manifeste contrapposizioni, in quei regimi nei quali il parlamento non è costituito da diversi partiti, ma invece da un partito unico.

In tal caso, il parlamentarismo sopravvive, sia pure con manifestazioni nuove, perché – scrive Gramsci – “non è possibile abolire una pura forma, com’è il parlamentarismo, senza abolire il suo contenuto, l’individualismo nel suo preciso significato di appropriazione individuale”.

L’analisi si appunta non solo sull’esperienza fascista, e indirettamente – sia pure non esplicitamente – sulla realtà dell’Unione Sovietica (come nota Girolamo Sotgiu), ma pure sulla manifestazione del “parlamentarismo nero” nell’epoca giolittiana, individuato nella lotta sotterranea di interessi che determinava le scelte governative in una realtà parlamentare dominata da Giolitti.

Mettendo da parte le considerazioni storiche e la sintassi ideologica dell’analisi di Gramsci, che richiederebbe ben altro impegno interpretativo, si mette in conto una riflessione, molto più attuale, che non riguarda solo il sistema parlamentare, ma anche quello della rappresentanza locale.

A Salerno, per utilizzare le espressioni di Gramsci, l’abolizione di fatto del sistema rappresentativo “è sintomo (o previsione) di intensificarsi delle lotte e non viceversa”, lotte e conflitti latenti ed intestini nello stesso gruppo di comando, con riferimento finanche a derivazioni parentali.

E’ sufficiente leggere le vicende quotidiane che interessano la città per percepire l’esistenza di profondi contrasti nella maggioranza – pressoché assoluta, perché comprende anche partiti di sedicente opposizione – tra differenziati gruppi di interessi, facenti capo a diversi personaggi in auge nel teatrino locale.

La conseguenza è che le scelte più determinanti per il presente e per il futuro parrebbero essere fatte non già in consiglio e finanche in giunta, ma in un locus esterno e imprecisato, con la discendente contrapposizione tra gli eletti e gli “estranei”. Il risultato resta proprio la perdita della funzione della rappresentanza e la costruzione di una mera parvenza di opposizione, affidata alla stessa regìa che governa la città.

I cittadini restano stupiti di fronte a dichiarazioni improvvide di un consigliere eletto (succeduto) in un partito di opposizione, che candidamente dichiara di far riferimento a chi ha creato e guida il “sistema”, ovvero alla massima espressione latente della maggioranza. Non è forse questo il risultato di un patto implicito anche tra leader (apparentemente) contrapposti, che con tutta evidenza si è manifestato anche nelle scorse elezioni amministrative?

Le nuove tendenze assolutistiche, le quali non fanno epoca, in quanto non introducono elementi di rottura e di novità strutturali rispetto all’epoca precedente (nella parvenza della rappresentanza elettiva), hanno comunque la possibilità di durare, e questo avviene – come nota Gramsci – solo perché il nuovo assolutismo “è forte delle altrui debolezze”.

L’analisi non apparirà tanto teorica ed oscura a chi vive le vicende quotidiane della città: il silenzio di alcune forze che dovrebbero essere di opposizione, l’affermazione ultra trentennale di un potere oscuro, incontrollato e non sindacato, ha finito, di fatto, per vanificare ogni speranza di alternativa.

Per superare questa forma di latente autocrazia vi è bisogno di un nuovo patto con i cittadini, che si fondi su una rinnovata convinta alleanza tra le opposizioni e le associazioni pure presenti nella società, scavando in quel fiume carsico del dissenso che prima o poi verrà in superficie.

Giuseppe Fauceglia   

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