Quella del fantasista tuttofare è una storia affascinante come poche altre: particolare insieme di coincidenze perse e periferie percorse, ma confluite, anno dopo anno, in quel viale principale che oggi sembra splendere più che mai.
«Le mie origini sono radicate a Nogarole Rocca. Lì ho iniziato a giocare, da pulcino, con la piccolissima società dell’Azzurra. Poi sono passato al Villafranca, dove ho completato la trafila giovanile, arrivando in prima squadra». E’ quanto si legge in un articolo pubblicato su larena.it
Che il giovane Andrea fosse talentuoso, è cosa nota da subito nel panorama calcistico veronese: capace d’illuminare gli occhi palla al piede, tra funamboliche sgroppate e visionarie assistenze, degne dell’idolo Kakà. Hellas e Chievo bussano alla porta, ripetutamente, ma Andrea proprio non riesce a salire su quegl’imponenti treni, con destinazione Serie A. «Ho fatto parecchi provini, incocciando, sfortunatamente, in diversi problemi.
Il primo era, senza dubbio, quello legato allo sviluppo: tanti miei amici, all’epoca nel Chievo o nell’Hellas, erano molto più formati fisicamente, io invece dovevo ancora maturare. Quando una porta si apriva, però, c’era subito un secondo portone a sbarrarmi la strada: le braccia conserte di mia madre. Per lei era fondamentale la scuola, detestava l’eventualità d’un mancato diploma. Non posso biasimarla, anzi. Grazie al suo supporto ho finito le superiori, al Don Bosco, senza mai abbandonare il Villafranca».
OPERAIO E CALCIATORE. Nalini, così, si ritrova a divertire il pubblico all’ombra del Castello, aspettando che il telefono squilli. Ma la chiamata tanto attesa, dal professionismo di vertice, tarda ad arrivare, costringendo la giovane promessa ad una nobile scelta di vita: «L’università non faceva per me, così ho deciso di cominciare a lavorare. Ho avuto la fortuna d’entrare nel Gruppo Tosoni, iniziando da subito a fare il saldatore e il manutentore. Da lì, una volta passato alla Virtus Borgo Venezia, mi sono trasferito nello stabilimento Aia».
Working class hero, canterebbe John Lennon. Nalini parla dei suoi trascorsi lavorativi con un orgoglio prezioso, con quel calore che profuma di sacrificio e, allo stesso tempo, di sogno sudato, conquistato tra prati non troppo verdi e lunghi turni faticosi. Dal Villafranca alla Virtus: denominatore comune, tra le due società, i tantissimi estimatori, irrimediabilmente innamorati di quell’umile fuoriclasse.
«Nella Virtus era dura giocare, lavoravo otto ore, con le scarpe antinfortunistica, per poi trovarmi sul campo a calciare il pallone. Devo ringraziare Gigi Fresco, che mi permetteva, a volte, di saltare allenamento. Il mister riusciva anche, tramite conoscenze, a non farmi lavorare in piena notte». Tic-tac. Le lancette scorrono inesorabili per Nalini che, classe ’90, vede sempre più flebile la possibilità d’emergere dalla Serie D. Ore, giorni, partite che scivolano via, spinti da un’ingiustificabile indifferenza: “«l tempo passava, vedevo ’95 esordire in Serie A e mi dicevo: riuscirò mai a fare il salto? Mi è dispiaciuto che Hellas e Chievo non abbiano puntato su di me, una volta cresciuto. Ma non ho mai smesso di crederci, continuando a dare tutto. Poi, improvvisamente, è arrivata la chiamata da Salerno e dalla Lega Pro: stentavo a crederci».
SCELTA GRANATA. Nalini attraversa tutto lo stivale per arrivare tra i granata, con il sorriso di chi entra nel mondo delle meraviglie. Ad accompagnarlo, però, c’è un’insidiosa compagna di viaggio: la pubalgia. «Nel ritiro estivo del 2013 avevo fatto bene, convincendo tutti a Salerno. Poi, però, è spuntata dal nulla la pubalgia. Un vero e proprio incubo, figlio, probabilmente, delle posture che avevo a lavoro. Non sono riuscito a giocare e, a gennaio, mi hanno rispedito in prestito alla Virtus. Poi ho tolto i denti del giudizio e tutto è magicamente passato».
Finalmente, a 24 anni, la carriera di Nalini s’illumina a festa, con l’attuale stagione giocata da pedina fondamentale della Salernitana: prima in classifica ed a pochi passi dalla B. «L’impatto è stato forte: giocare all’Arechi, davanti a ventimila persone, ti fa venire i brividi. Fortunatamente, poi, stiamo andando bene, quindi il clima in città è meraviglioso». Buttando lo sguardo indietro, di sfuggita, a tutte quelle strade interrotte ed a quei vicoli percorsi, Nalini non fa previsioni sul tragitto che verrà: «Salire di categoria sarebbe bellissimo per me e per la squadra. La Lazio? Si, ci sono voci che mi accostano all’altra società del presidente Lotito, ma non sono altro che parole.
Giocare in B e A sarebbe il coronamento d’un viaggio assurdo: certo, lasciami dire che adesso, più che mai, è lecito sperare». Suonano così, come in una fiaba dal finale in crescendo, le parole di Andrea Nalini. Fiere ed ariose, come le sue sventagliate ed i suoi assit. Rapide ed incisive, come i tocchi brevi ed i dribbling in un fazzoletto. Il viale resta illuminato ed, in fondo in fondo, speriamo che lo possa condurre allo stadio Bentegodi.
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