Non si tratta di eccessivo femminismo o altro ancora, come demagoghi e populisti da scrivania riferiscono, ma dei “semplici” concetti di libertà e giustizia che vanno applicati in ogni contesto. La donna che proviene da un contesto religioso/culturale diverso dal nostro può e deve essere libera di vestirsi come meglio crede, senza pensare che il burqa o il burkini siano necessariamente frutto dell’oppressione sociale o religiosa dei loro Paesi. Ho da sempre pensato che chiunque provenga da un altro contesto culturale possa e debba inserirsi nella nostra società al meglio possibile, pur lasciando libertà di scelta su vestiario/credo religioso/tradizioni da seguire: questo è l’Occidente che si apre al mondo, questa è l’Europa che guarda al futuro.
Se è vero, come è vero, che l’oppressione religiosa e culturale è di fatto un elemento di peso in determinate culture, è anche giusto dare la possibilità a chiunque di decidere in che modo esprimersi nella società. Vietare il burkini significa vietare che una tipologia di abbigliamento da spiaggia possa essere usato: come se, da domani, si stabilisse che per legge le donne debbano indossare esclusivamente il costume a due pezzi e gli uomini il costume a slip. Niente più costumi a pezzo unico per le donne, niente più boxer o bermuda per gli uomini.
Non condividere determinati aspetti delle altre culture può essere lecito, rispettare è necessario: vero e giusto è richiedere il rispetto e l’osservanza delle regole in termini di sicurezza, ma per chiunque e non solo per una determinata (e piccolissima) fetta di popolazione che intende seguire, anche al mare, gli usi ed i costumi della propria tradizione. Integrazione vuol dire anche, soprattutto questo.
Il Presidente FGS Campania – Vittorio Cicalese
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