La permanente condizione di area lontana – insieme con l’intera regione, per la verità – da standard di sviluppo adeguati alla domanda di crescita drammaticamente disattesa, sollecitano oggi una riflessione di più ampia portata per tentare di individuare un nuovo “profilo” prima di tutto in sintonia con la vocazione di lunga durata dei luoghi e delle comunità che ad essi conferiscono dinamismo vitale.
Smart city/Smart land.
La discussione in corso da tempo sulla nuova identità dei territori – le “smart city”, gli “smart land” – dovrebbe imporre agli attori dello sviluppo locale di prendere coscienza che è possibile mettere a fuoco nuovi orizzonti soltanto accantonando la strumentalità politica ed il calcolo elettorale che ha generato – a partire dall’elezione diretta dei sindaci – poco più che “cacicchi” in genere non propensi a guardare oltre la “siepe” del ristretto perimetro municipalistico.
Il concetto di “Area Vasta”.
Il concetto di “Area Vasta” implica, quindi, la realizzazione di una capacità multi/scalare della governance territoriale (pubblica e privata), pronta a superare le attuali patologie urbane, così intrecciate e complesse, imponendo mutazioni sostanziali. E non può bastare la somma di edifici o spazi sostenibili – per essere chiari – che appare qua e là a macchia di leopardo: essa non produce compatibilità sociale e ambientale in maniera diffusa e strutturale, non genera automaticamente ecologia del paesaggio.
Non solo le città metropolitane, ma anche (se non soprattutto) le città dei territori complementari sono chiamate ad un salto di scala nella gestione e nell’ideazione di nuovi piani integrati di sviluppo urbano e meta/urbano. I fondi europei dovrebbero stimolare tutte le città ad incamminarsi nella metamorfosi necessaria a trasformarle in motori di sviluppo e di mutamento sostanziale dal punta di vista della sostenibilità ambientale, dell’innovazione e inclusione sociale (prim’ancora che economica) dei territori.
L’ex provincia di Salerno.
Questa premessa introduce anche per l’area vasta che fa riferimento all’ex provincia di Salerno (sebbene la Provincia dal punto di vista istituzionale pare sia ancora confusamente in vita) la necessità di elaborare una nuova visione strategica attraverso la scelta di modelli di governance “espansivi” ed “inclusivi”, non “respingenti” ed “esclusivi”. Quali possono essere le macro/aggregazioni nel Salernitano? Sostanzialmente quattro: la Città dell’Agro Nocerino Sarnese; la Grande Salerno estesa alla Valle dell’Irno, alla Piana del Sele ed all’alto Sele; Cava de’ Tirreni e la Costiera Amalfitana; la Città del Quarto Paesaggio/tutta l’area oltre-Sele ed il Parco de Cilento.
La Città dell’Agro/Laboratorio di Area Vasta.
L’area omogenea dell’Agro Nocerino Sarnese è quella che più ha avvertito e scontato sulla propria pelle la problematica derivante dall’urgenza di assumere (senza assumerla) una nuova soggettività territoriale. Mentre nella contigua area afferente il capoluogo partenopeo si affermava il progetto di rilancio di un giacimento attrattivo a livello mondiale come Pompei, sul versante salernitano non accadeva nulla del genere.
Eppure le potenzialità di un territorio così “denso” di identità e patrimonio culturale – nonché caratterizzato da un bacino economico/produttivo storicamente rilevante ben oltre i confini provinciali e regionali – avrebbero meritato migliore fortuna. Perché proprio nell’Agro Nocerino Sarnese può aprirsi, invece, a tutti gli effetti un Laboratorio di Nuova Governance territoriale incentrato sulla crisi delle attuali filiere istituzionali.
Le dinamiche delle “reti complesse”. Non solo agro/alimentare.
La “Città dell’Agro” entrerebbe senza dubbio di diritto nella “Rete di Città d’Area Vasta” che è destinata nel tempo a prendere il posto – si auspica in maniera più propulsiva – dell’attuale livello intermedio costituito dalla Provincia/post riforma. La “Città dell’Agro” dovrà schivare ostacoli di vario genere, ma certamente può contare fin da subito su un tessuto produttivo ed attrattivo importante. La parte mancante va individuata nella carenza di costruzione di “reti complesse” intersettoriali: perché a partire dall’agro/alimentare è possibile “intrecciare” una nuova storia del territorio. Come non pensare, per esempio, al recupero del patrimonio archeologico (Nuceria Alfaterna, solo per citare l’attrattore per così dire strutturale)?
Ed è evidente che il “saper fare” dell’industria conserviera va riconnesso con la cultura del cibo e la ricentralizzazione dell’offerta delle tipicità enogastronomiche (del resto ben presenti anche attraverso produzioni disciplinate: il pomodoro San Marzano è uno dei brand più famosi – e purtroppo impunemente imitati – al mondo).
E’ in questo modo che si arriva alla configurazione di un “marchio territoriale” (non solo virtuale) che al suo interno nasconde tesori consistenti, agganciati al destino di una bonifica ambientale che costituisce il punto di partenza di una nuova crescita capace di impattare positivamente sulle drammatiche cifre della disoccupazione (soprattutto giovanile e femminile).
E ancora: perché non credere fino in fondo a nuovi itinerari del turismo religioso? Pompei è lì, a due passi. Perché non porre mano all’integrazione dei sentieri e dei parchi lungo i corsi dei fiumi (bonificati) in modo da agganciarsi alla Lungo Irno (anch’essa da rendere pienamente fruibile) fino al capoluogo salernitano? Insomma, le opportunità da cogliere – anche in termini di turismo dei siti industriali (altro esempio che in Veneto e in altre regioni storicamente manifatturiere, è già realtà) – non mancano . Ma il nodo irrisolto della mobilità di cose e persone fa il paio con la necessità assoluta di recuperare standard ambientali all’altezza della sfida.
Ed in questo percorso risulterà sempre più importante il ruolo di orientamento e di accompagnamento delle dinamiche complessive dello sviluppo di tutta la (ex) provincia che deciderà di giocare il comune capoluogo.
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